T12R5, Acrilci su tela intavolata, cm 30x30
L'optical art di Massimo Salvadori fa riferimento al movimento dell'arte astratta degli anni Sessanta, un movimento interessato alla ricerca dei vari effetti ottici ottenibili per stimolazione della retina. Di fronte ai suoi lavori, per lo più di piccole dimensioni, si rimane quasi ipnotizzati, si inseguono le figure, si cerca di costruire qualcosa di concreto inseguendo possibili rilievi tridimensionali. Tutto rimane estremamente controllato, chiuso in una precisione matematica che non ammette deviazioni. Salvadori si cimenta con un'arte difficile, lavorando spesso con la sola commistione di due colori, chiudendo il pigmento in spazi geometrici serrati, spazi che si combinano inventando immagini caleidoscopiche in finto movimento. Infatti, ciò che propone l'artista, è una illusione di movimento, una limitata ripetizione di figure che fingono un dinamismo, rimanendo però immobili nella loro ieraticità. Dunque la falsa immobilità conferisce qualcosa di sacro a queste immagini. E' un sacro che si confonde con la concezione geometrica cui fa riferimento Dante Alighieri nella costruzione del Paradiso, bandendo il movimento a vantaggio di una staticità che si sovappone alla perfezione. In fondo, la matematicizzazione dello spazio operata da Salvadori altro non è che una riflessione sulle teorizzazioni prospettiche dell'Umanesimo, conclusa tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, attraverso una stilizzazione della realtà che si trasforma in equazione. E' una scelta non da poco, una scelta totalmente razionalista, ma proprio per questo così concreta, così riconducibile a ciò che veramente percepiamo. Non credo ci siano valori simbolici particolari dietro questi lavori così accattivanti; piuttosto è il background culturale dell'artista a dare qualche riferimento interpretativo, un retroterra di musicista, con una impostazione estremamente fisica della comunicazione. Sono opere basate sul ritmo, sulla ripetizione di un riff che tende a ritornare come un giro di note. In fondo, da secoli si ritiene l'armonia, in quanto accordo tra le parti, sia sinonimo di equilibrio, e nulla, al di là della musica è riuscita a esplicitare questo concetto. Da qui risulta chiaro che una ricerca del genere non può limitarsi alla realizzazione della sola immagine: è una sequenza impostata e determinata, simile, appunto, ad un ritmo musicale che assume determinazioni particolari, come un messaggio luminoso che cambia a seconda del contesto percettivo. Probabilmente, leggendo le opere in questo senso, si giustifica l'opinione per la quale la sua ricerca tende alla perfezione formale e all'utilizzazione ottimale degli strumenti scelti senza imporre, e nemmeno richiedere, una interpretazione o una attribuzione di significato. Ogni opera è fine a se stessa ed è compiuta quando diviene percepibile nei suoi risvolti tecnici e formali; la stessa mancanza di un titolo significativo è indice del fatto che l'autore lascia ogni possibile lettura alla soggettività del fruitore, senza in alcun modo indicare una direzione interpretativa preferita o in qualche misura autentica.